
Con Nota direttoriale n. 10376/2023 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha escluso che i rami ETS degli enti religiosi civilmente riconosciuti di cui all’art. 4, comma 3, del D.Lgs. 117/2017 possano assumere una denominazione diversa da quella degli enti religiosi medesimi.
La Nota, in particolare, ha considerato scorrette le seguenti pratiche:
a) indicare, nell’istanza per l’iscrizione al RUNTS, una denominazione specifica del ramo, accompagnata dall’acronimo, unitamente al codice fiscale attribuito all’ente ecclesiastico nel suo complesso;
b) indicare nel regolamento del ramo una denominazione specifica del ramo, anche se nell’istanza per l’iscrizione al RUNTS viene correttamente indicato l’ente ecclesiastico con la sua effettiva denominazione cui corrisponde il codice fiscale in uso.
Nel 1° caso, infatti, risulta una discrasia tra il codice fiscale di riferimento e la denominazione dell’ente come risultante dal RUNTS.
Nel 2° caso, risulterebbe comunque problematica la spendita nei confronti dei soggetti terzi del nome “specifico” attribuito al ramo, come individuato dal regolamento.
Da ultimo, il Ministero ha segnalato che la sentenza del Tar Campania – Napoli – sez. I, n. 3158/2023 ha messo in evidenza come la disposizione di cui all’art. 4, comma 3 sopra citata si fonda sul fatto che il “ramo d’ente ecclesiastico… privo di soggettività giuridica propria, per effetto dello stretto collegamento ad un ente religioso …civilmente riconosciuto, gode per proprietà transitiva della personalità di quest’ultimo”; ciò significa che “è comunque individuabile un soggetto giuridico certo, ossia l’ente ecclesiastico”.
In conclusione, è escluso che il ramo ETS di un ente religioso possa assumere una denominazione diversa da quella dell’ente religioso medesimo.